Alla base della letteratura c’è sempre un’utopia – artistica anzitutto, morale, sociale – e quella che specialmente muove il narratore degli Stati Uniti si configura, dalle origini ai nostri giorni, come l’aspirazione a scrivere il «Grande Romanzo Americano» (Norman Mailer ha usato la definizione persino come titolo d’una sua opera), e cioè il romanzo capace di rappresentare, e invero di essere, l’America. È un’utopia che soltanto Melville, forse, con Moby Dick, è riuscito almeno a sfiorare, ma il tentativo di metterla in atto è presente in tutti gli scritti, dalla Lettera scarlatta ad Huckleberry Finn, da Una tragedia americana al Grande Gatsby al Giovane Holden, con i quali nell’Ottocento e nel Novecento si è formata la tradizione narrativa americana. Ed essa è presente, più fortemente di quanto ci si aspetterebbe da un romanziere che ambienta gran parte delle sue opere in Europa (un’Europa però sempre vista attraverso occhi americani), in Henry James, come Le bostoniane chiaramente dimostra.